11 marzo 2010

TRAFFICI E MANEGGI DELLA BANDA DEI "MATTI"



di Mariagrazia Gerinatutti gli articoli dell'autore

Anche senza calcolare le spiegazioni balbettate dall’ormai leggendario Milioni, sull’argomento si erano cimentati in molti. Nell’ordine, Vincenzo Piso, coordinatore del Pdl Lazio, Ignazio Abrignani, responsabile elettorale del Pdl nazionale, Alfredo Pallone, il vice di Piso, l’avvocato Grazia Volo, chiamata in soccorso. Ma niente. Nessuno è riuscito laddove Berlusconi ha deciso, a dieci giorni dal fattaccio, di cimentarsi in prima persona. Missione: spiegare che se gli elettori del Pdl a Roma non troveranno il simbolo del loro partito sulla scheda elettorale «nessuna responsabilità è riconducibile ai nostri dirigenti a cui è stato impedito di presentare le liste».

Un’impresa titanica se anche il Giornale il 28 febbraio titolava: «Un partito di matti. La mancata presentazione della lista in tempo utile è il grottesco risultato degli equilibrismi per accontentare gli ex Fi e An». Altro che forza dei fatti. Ci vuole Berlusconi che dica: «Questa è la verità perché la dico io». Con tanto di attacchi ai radicali. E alla giudice, Anna Argento, già denunciata per «abuso d’ufficio». «Ai nostri delegati ha detto persino che per lei tutte le liste sono uguali», dice disgustato il premier. «Ma se nemmeno sapevo che erano del Pdl», replica lei: «Sono solo intervenuta a spiegare che ormai dovevano essere considerati in ritardo e non potevano rimettersi in fila con gli altri come se niente fosse, ma non ho mai impedito loro di consegnare alcunché», spiega tornando sul passaggio decisivo.

LA SCENA MADRE Per fotografare bene la scena bisogna fare un passo indietro. Giorgio Polesi, l’altro mancato-presentatore della lista Pdl, è in fila. Gerardo De Rosa, presentatore della lista del Psi, lo vede che maneggia i documenti contenuti nella famosa scatola. E si mette a riprenderlo con il telefonino. Nel frattempo arriva Milioni (di cui non a caso nella ricostruzione del premier non si cita l’orario di ingresso al tribunale) con altri documenti sotto braccio. Ai carabinieri viene fatto notare che sta succedendo qualcosa di irregolare. È in quel momento che Milioni e Polesi si allontano, abbandonando la scatola davanti alla stanza 23. Quando tornano trovano il Psi Di Tommaso e il radicale Sabatinelli stesi in terra: «Ma il passaggio non era impedito». È la «gazzarra» che Anna Argento e il suo collega Durante intervengono a sedare. Nella ricostruzione di Berlusconi quest’ultimo avrebbe assicurato al prefetto di Roma che «tutto sarebbe stato sanato a seguito di un ricorso». «Mi sembra difficile che possa aver detto così», osserva Anna Argento: «Avrà detto: si può fare ricorso».

Comunque, cosa stesse realmente accadendo sabato 27 febbraio in quei minuti decisivi lo racconta ancora l’esito del secondo tentativo. Quando Polesi e Milioni, l’8 marzo, scortati dal quartier generale del Pdl romano, ritornano in tribunale per presentare la lista in virtù del decreto Berlusconi. La scatola abbandonata nel corridoio l’hanno custodita i carabinieri: dentro ci sono le firme raccolte per presentare la lista. Mancano invece i documenti che Milioni stava portando, fuori tempo massimo, al suo collega in fila. Compreso l’atto principale. Quando Polesi entra in tribunale il 27 febbraio dunque non sono ancora le 12 ma la «documentazione è incompleta», come ha annotato Anna Argento bocciando per la seconda volta la lista presentata in virtù del decreto. «Avevo chiesto di essere esonerata, è stato il presidente del tribunale a chiedermi con un atto formale di andare avanti, confermando il mio operato», spiega che lei che, pur «amareggiata», assicura di aver fatto come sempre il suo lavoro «secondo coscienza». Non importa, il Giornale di famiglia l’ha già ritratta come «toga rossa». Berlusconi pure. Lei si dice «serena»: «Però certo non mi farò prendere a calci restando inerme», medita la querela.

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