31 luglio 2010

SECONDA REPUBBLICA. Titoli di coda


Non bastassero le foto dei finiani raggianti all'Hotel Minerva, soccorrono quelle del premier al compleanno di Gianfranco Rotondi a documentare la fine di un regime. Fedelissimi inquisiti e gaudenti, direttori di tg inginocchiati e ridenti, ministre e deputate alle ultime comparsate da ragazze-immagine: è tutto ciò che resta della "rivoluzione berlusconiana", quella che ancora sedici mesi fa, dal palco del congresso fondativo del Pdl, veniva rivenduta in salsa di carisma, provvidenza e salvezza. Espulso il cofondatore di allora (e già allora reticente), il premier si sentirà pure liberato da un peso, «come con Veronica»; eppure proprio da Veronica avrebbe dovuto imparare che dopo la liberazione da certi pesi, la leggerezza dell'essere diventa insostenibile. Senza il peso di Fini, Berlusconi non è più leggero: è finito, o se sopravviverà sarà comunque un altro Berlusconi, residuale a se stesso. Non perché gli venga a mancare un socio di grande statura: sulla statura di Fini in troppi stanno esagerando, a destra e soprattutto a sinistra. Né perché il Pdl resta monco: i partiti liquidi, cioè inesistenti, sopportano queste e altre emorragie. E nemmeno solo perché il governo è ormai virtualmente in crisi, appeso al filo ora di Fini stesso, il traditore, ora di Bossi e di Tremonti, pronti a tradire a loro volta. Ma perché la rottura con Fini scrive i titoli di coda sul progetto strategico della "nuova destra" italiana nata nel '94, del bipolarismo e di quella che è stata chiamata (arbitrariamente) Seconda Repubblica. La crisi non è di partito o di governo, è di sistema.

L'alleanza spiazzante siglata diciassette anni fa («Se votassi a Roma, fra Fini e Rutelli sceglierei Fini», fu il biglietto da visita del Cavaliere alle comunali del '93) aveva due facce, una rivolta al passato l'altra al futuro. Per il passato, si trattava di sdoganare gli ex-fascisti aprendo la porta allo sfondamento revisionista della storia politica nazionale. Per il futuro, si trattava di oltrepassare quella storia riscrivendo il patto costituzionale e approdando effettivamente a una Seconda Repubblica. Per quanto oggi ci si possa divertire a sfogliare l'album del rapporto da sempre difficile fra due leader così diversi come Berlusconi e Fini, e per quanto si possa fare dell'ultimo Fini un baluardo della legalità costituzionale, non va dimenticato che il progetto di radicale riscrittura della Costituzione in senso presidenzialista, plebiscitario e federale è stato per quindici anni il vero e unico collante di una destra tricipite, fatta da tre componenti - An, Lega, Fi - rispettivamente extra, anti e post costituzionali, per altri versi incomponibili se non incompatibili. Su quel collante si è consolidato il bipolarismo italiano, e grazie a quel collante la transizione italiana avrebbe dovuto prima o poi compiersi come "rivoluzione" berlusconiana.
Sul lungo periodo, quel collante non ha retto. La costituzionalizzazione di Fini - che non si esaurisce con le sue proclamazione di oggi su legalità, garantismo e impunità: chi si ricorda di Genova 2001? - lascia più isolata e più inasprita l'anomalia di Berlusconi. Il quale verosimilmente punterà ancora, nei pochi mesi che ha davanti, a rinverdire il proprio progetto eversivo premendo l'acceleratore sulla giustizia e sul federalismo, contando (troppo) sul solo Bossi oltre che sulla propria onnipotenza ferita, tentando l'affondo elettorale se i sondaggi su Vendola, che ha già commissionato non senza preoccupazione, glielo consentiranno. Resta sul campo lo scheletro di un bipolarismo forzoso e ormai svuotato, e il compito interminabile di ridisegnare il sistema politico italiano a destra e a sinistra, e possibilmente con una sinistra non a rimorchio della destra com'è stata per vent'anni. Per questo non basterà la continuità istituzionale di cui si fa garante Napolitano, né la disponibilità a una soluzione di transizione o di emergenza di cui si fa promotore Bersani, né la delega a una pur necessaria riscrittura delle regole elettorali. Ci vorrà la convinzione che una stagione si è chiusa davvero, non solo per il Pdl, e che i titoli di coda chiamano l'opposizione, non solo Gianfranco Fini, a uscire dalla passività della rendita di posizione garantita dall'incantesimo del Cavaliere.

di Ida Dominijanni


Nessun commento:

Posta un commento

I vostri commenti sono molto graditi a patto che non arrechino offesa. In caso contrario i commenti non saranno pubblicati. Dopo aver inserito il commento nella finestra sottostante sarà necessario validarlo introducendo il codice visualizzato di volta in volta. Tutti i commenti sono soggetti ad approvazione.