05 ottobre 2012

Zingaretti, Roma, il Pd e il fattore Tafazzi

Le alchimie del partito nel Lazio, con Zingaretti dirottato alla Pisana dopo che da mesi stava tessendo la tela per Roma. È l’ennesimo autogol politicista di un centrosinistra che non impara mai le lezioni del passato. Perché? Non c’è altro da chiedersi di fronte all’ennesimo (sic) autogol del Pd. Un desiderio tafazziano e masochista che contraddistingue ormai il Dna e la storia di questo partito.
La scelta di dirottare Zingaretti – manco fosse un pacco celere – dalla candidatura a sindaco di Roma a quella di presidente di Regione sa proprio di film già visto. Le candidature scelte col pallottoliere, col manuale Cencelli, senza pensare un secondo a ciò che conterebbe davvero: l’opportunità e il disegno politico che si vorrebbe perseguire, l’idea di città e di Paese che ai cittadini si vorrebbe trasmettere.
Ricapitolando velocemente, il tafazzismo del Pd è ormai roba da libri di storia. Appena s’annusa la vittoria, il Pd scappa. Perché la voglia di spremersi le meningi dopo ogni rovinosa sconfitta su temi enormi tipo “la crisi della sinistra” è sempre troppo forte. Ma non è questione di crisi della sinistra: è la solita incapacità di lettura di ciò che il proprio popolo chiede.
A livello nazionale, per dire, il centrodestra è ormai in mille pezzi, Monti – a parole – dice di volersi tirare indietro e il centrosinistra cosa fa? Intraprende una faida interna, l’ennesima: una guerra civile tra Renzi e Bersani che sabato si paleserà in un’assemblea in cui sono previsti morti e feriti. Ottimo. Intanto la crisi morde sempre i soliti ormai da quattro anni, il Pil non cresce, disoccupazione e precarietà invece sì. Il potere d’acquisto delle famiglie italiane è tornato quello degli anni ’80, e finirà che in molti rimpiangeranno il Caf.

Dicevamo di Zingaretti. Oggi ufficializzerà la propria candidatura alla Regione, dopo che per mesi e mesi si era adoperato (e bene) per presentarsi a Roma, come sfidante di Gianni Alemanno. Figurarsi, «era tutto uno scherzo» per dirla alla Bertinotti-Guzzanti. Il fratello di Montalbano aveva scaldato i motori: buon presidente di Provincia, da mesi si era tirato fuori dalle diatribe nazionali occupandosi solo della Capitale. Ragionando sul come “liberarla” dalla giunta Alemanno. Chiudendo un’era, durata fin troppo tempo, contrassegnata da Parentopoli, fascistumi riciclati e ripuliti, conti in rosso, metro inaugurate e già mal funzionanti, gaffe a ripetizione. Una città stuprata. Dalla destra più affamata della storia repubblicana. I sondaggi davano strafavorito Zingaretti, il “camerata” Gianni ipotizzava persino il ritiro per paura di una vittoria schiacciante dell’avversario. E invece eccolo lì, entra in campo col piedino bello caldo il fattore Tafazzi: perché essere coerenti coi propri cittadini?, meglio il sano politichese e il cambio repentino. Allora ragazzi, facciamo così: Nicola, tu vai alla Regione. A Roma ci piazziamo un bel tecnico-cattolico calato dall’alto (direttamente dal regno dei cieli) come Riccardi e la cacio e pepe è servita. Il quale, assai più serio e metodico di Alemanno, farà le cose per bene: privatizzazioni di beni pubblici e frequentazioni assidue con l’Oltretevere. Rapporti di buon vicinato, anzi una bella joint venture Stato Pontificio style.
In Rete si ironizza sul possibile candidato a Roma nel caso Riccardi rifiutasse. Potrebbe essere un volto nuovo come Francesco Rutelli, così finalmente l’Api darà un senso alla propria esistenza. O magari l’evergreen Emma Bonino, che anche lei è la sempreverde delle candidature planetarie. O Walter Veltroni!, che tanto poi in Africa non c’è più andato.
La morale della favola è che il tramortito Alemanno da oggi tramortito lo è un po’ di meno. E sembra di assistere di nuovo alle scellerate decisioni del 2008, con Veltroni che molla Roma per puntare a Palazzo Chigi e per compensare chissà quali equilibri a noi esseri umani imperscrutabili viene candidato Rutelli, al momento bollito da circa undici anni. Finì con due disastrose sconfitte, ovviamente.
Poi chissà, forse un giorno il Pd capirà che Roma – ma anche il Lazio, ma anche l’Italia – è una cosa seria, non un parcheggio, non una casella, non una pietra di scambio per assetti futuri, non un cimitero degli elefanti.

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