‘Tanto più la nostra società è immobile, tanto più la nostra classe dirigente (soprattutto quella politica, ma non solo) appare ‘sregolata’, cioè priva di autoregolamentazione, in quanto non rispettosa della storia sua e nazionale’
Tiziana Bartolini
Alla parola ‘memoria’ si associa piuttosto spontaneamente l’immagine delle radici. Quelle ramificazioni sotterranee saldano l’albero al terreno e si prolungano in infiniti intrecci, invisibili ma indispensabili a mantenere in vita la pianta, e il nutrimento di quel circuito è vitale anche per l’ambiente circostante. Analogamente il ricordo è linfa a cui l’essere umano attinge, in cui trova ossigeno per la mente e l’anima. Senza il ricordo non esiste la consapevolezza di sé in una dimensione spazio-temporale. La memoria ci permette di accedere alla compiutezza del nostro essere, che è gioia e dolore, buio e luce, bene e male. È un ‘tutto’, immateriale eppure colmo di quotidiana concretezza. Ci sono oggetti e cibi, ma anche pensieri e odori, che si intrecciano nel privato come nella condivisione collettiva, e l’insieme concorre alla tessitura della storia unica che ciascuno, singolarmente, costituisce nell’ambito del fluire in una storia comune. La memoria è dunque qualcosa di complesso e animato, che agisce e interagisce. A partire dalla coscienza di un presente che discende da un ‘prima’ - intreccio di micro e macro azioni - e che ci sarà un ‘dopo’, a sua volta determinato da atti ed elaborazioni nella dimensione singola e plurale. In questo senso la memoria è assunzione di responsabilità nei confronti del passato e del futuro. L’agire nel rispetto del cammino che ciascuno percorre e traccia, implica un’autoregolamentazione. Infatti chi opera per modificare la realtà si assume una responsabilità di cui deve (dovrebbe) sentire il peso. Qualunque cambiamento trae forza dalla storia e dalla memoria del contesto in cui avviene. Sarà forse perchè continuiamo a negarci una memoria collettiva che in questo Paese non cambia mai niente? Troppo affaccendati a rileggere il Risorgimento e l’Unità d’Italia, a re-interpretare il fascismo e l’antifascismo, ad erodere la Costituzione, non riusciamo a fare le continuamente evocate riforme. Tanto più la nostra società è immobile, tanto più la nostra classe dirigente (soprattutto quella politica, ma non solo) appare ‘sregolata’, cioè priva di autoregolamentazione, in quanto non rispettosa della storia sua e nazionale. Un’operazione ben riuscita, invece, è quella di rendere via via più smemorato il popolo italiano con l’obiettivo, altrettanto conseguito, di costruire una società sempre più fragile. Offuscare la tua origine e il ricordo impedisce il riconoscerti in una storia collettiva, questo alimenta l’indifferenza, che a sua volta genera ostilità e così sempre più in basso verso il degrado umano e civile. Come donne abbiamo sperimentato per secoli gli effetti devastanti e umilianti dell’essere cancellate dalla storia. Abbiamo sperimentato la fatica di ricostruire le nostre memorie, singole e collettive, indispensabili per esistere ed essere riconosciute come persone che potevano esigere diritti. Sappiamo che è un lavoro non ancora completato, che sarà lungo e per niente facile. Capito il trucco, ora abbiamo filo per tessere la nostra tela. E soprattutto sappiamo dove attingere acqua per irrorare le nostre radici.
da noidonne.org 31 gennaio 2011
Alla parola ‘memoria’ si associa piuttosto spontaneamente l’immagine delle radici. Quelle ramificazioni sotterranee saldano l’albero al terreno e si prolungano in infiniti intrecci, invisibili ma indispensabili a mantenere in vita la pianta, e il nutrimento di quel circuito è vitale anche per l’ambiente circostante. Analogamente il ricordo è linfa a cui l’essere umano attinge, in cui trova ossigeno per la mente e l’anima. Senza il ricordo non esiste la consapevolezza di sé in una dimensione spazio-temporale. La memoria ci permette di accedere alla compiutezza del nostro essere, che è gioia e dolore, buio e luce, bene e male. È un ‘tutto’, immateriale eppure colmo di quotidiana concretezza. Ci sono oggetti e cibi, ma anche pensieri e odori, che si intrecciano nel privato come nella condivisione collettiva, e l’insieme concorre alla tessitura della storia unica che ciascuno, singolarmente, costituisce nell’ambito del fluire in una storia comune. La memoria è dunque qualcosa di complesso e animato, che agisce e interagisce. A partire dalla coscienza di un presente che discende da un ‘prima’ - intreccio di micro e macro azioni - e che ci sarà un ‘dopo’, a sua volta determinato da atti ed elaborazioni nella dimensione singola e plurale. In questo senso la memoria è assunzione di responsabilità nei confronti del passato e del futuro. L’agire nel rispetto del cammino che ciascuno percorre e traccia, implica un’autoregolamentazione. Infatti chi opera per modificare la realtà si assume una responsabilità di cui deve (dovrebbe) sentire il peso. Qualunque cambiamento trae forza dalla storia e dalla memoria del contesto in cui avviene. Sarà forse perchè continuiamo a negarci una memoria collettiva che in questo Paese non cambia mai niente? Troppo affaccendati a rileggere il Risorgimento e l’Unità d’Italia, a re-interpretare il fascismo e l’antifascismo, ad erodere la Costituzione, non riusciamo a fare le continuamente evocate riforme. Tanto più la nostra società è immobile, tanto più la nostra classe dirigente (soprattutto quella politica, ma non solo) appare ‘sregolata’, cioè priva di autoregolamentazione, in quanto non rispettosa della storia sua e nazionale. Un’operazione ben riuscita, invece, è quella di rendere via via più smemorato il popolo italiano con l’obiettivo, altrettanto conseguito, di costruire una società sempre più fragile. Offuscare la tua origine e il ricordo impedisce il riconoscerti in una storia collettiva, questo alimenta l’indifferenza, che a sua volta genera ostilità e così sempre più in basso verso il degrado umano e civile. Come donne abbiamo sperimentato per secoli gli effetti devastanti e umilianti dell’essere cancellate dalla storia. Abbiamo sperimentato la fatica di ricostruire le nostre memorie, singole e collettive, indispensabili per esistere ed essere riconosciute come persone che potevano esigere diritti. Sappiamo che è un lavoro non ancora completato, che sarà lungo e per niente facile. Capito il trucco, ora abbiamo filo per tessere la nostra tela. E soprattutto sappiamo dove attingere acqua per irrorare le nostre radici.
da noidonne.org 31 gennaio 2011
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