Repubblica romana
Riflessioni "al passato" sulla spesa pubblica, dove si innescano "quelli che oggi indichiamo come effetti moltiplicativi sul reddito e l’occupazione"
di Rita Castellani
Il primo a rendersi compiutamente conto che le dimensioni e la complessità dell’impero richiedevano un salto di qualità, politico e amministrativo, per essere gestite a vantaggio di Roma, era stato Cesare. Con gli esiti, esiziali per lui, che sappiamo. La resistenza dei ceti senatoriali conservatori si avvaleva, davanti alla plebe, del richiamo ai valori antichi della repubblica romana: con questo atteggiamento dovranno fare i conti tutti gli imperatori della stirpe Giulio-Claudia, oscillando tra mediazioni e strappi, tra attentati subiti e repressioni, sulla via, difficile allora come ora, dell’innovazione.
Al suo insediamento, nel 54 d.C., Nerone, ultimo imperatore di quella stirpe, trovò la riforma dell’amministrazione già impostata da Claudio, con l’affidamento dei ruoli dirigenziali a manager tecnici, i liberti, spesso provenienti da quella cultura ellenistica che, con il suo eclettismo, rappresentava al meglio il dinamismo, anche economico, di molte parti dell’Impero. Il giovane imperatore perfezionò la riforma, con molta attenzione al settore della giustizia, cercando di coinvolgere il Senato nella sua azione, e comunque di compiacerlo ogni volta che era possibile; la sua inclinazione naturale, tuttavia, e forse anche il calcolo politico, lo portava al rapporto diretto con la plebe che, per parte sua, gli manifestò affetto fino oltre la morte.
Nel 58, Nerone tentò la prima vera riforma radicale sul versante economico, in senso anti-protezionistico, con la proposta di abolizione delle imposte indirette: si trattava di una manovra complessa, equivalente ad un quindicesimo del bilancio pubblico. L’intento era quello di liberalizzare i commerci all’interno dell’impero, attraverso la diminuzione dei prezzi e il conseguente aumento del grado di concorrenza, con vantaggio per i ceti meno abbienti e a reddito fisso. Ma i senatori videro in pericolo le loro rendite, derivanti dalle condizioni di quasi-monopolio a cui vendevano in Italia le produzioni dei loro latifondi, e si opposero. Nerone fu costretto a ripiegare su misure parziali e di entità molto minore; ma, in questa sconfitta politica, si consumò definitivamente la sua rottura con il Senato. Da questo momento, Nerone comincia a orientarsi verso una monarchia assoluta di tipo ellenistico: un impero così vasto aveva bisogno di un centro decisionale unico, in grado di relazionarsi con le culture e le esigenze delle province, non più riconducibili alle categorie ristrette della romanità delle origini repubblicane.
È nel 66 che Nerone riesce a mettere in atto una manovra, ancora più articolata, a sostegno della domanda e del reddito, combinando tanto efficacemente politica monetaria e fiscale, da farlo indicare da alcuni studiosi dei giorni nostri come una sorta di keynesiano ante litteram (M. A. Levi, M. Thornton, R. Thornton). Per prima cosa, l’imperatore annuncia e attua una svalutazione monetaria, diminuendo il titolo dell’oro e dell’argento nelle monete senza modificare il loro valore nominale, che si concretizza dunque in un aumento dell’offerta di moneta. La misura della svalutazione è studiata in modo che non risulti, tuttavia, conveniente la tesaurizzazione delle vecchie monete a fini di recupero del metallo prezioso; e anche in modo da migliorare il rapporto di cambio tra oro e argento a favore di quest’ultimo, che era il metallo a cui avevano accesso le classi di reddito più basso. Le spinte inflazionistiche, che potevano derivare da tale operazione, sono contenute dal fatto che la maggiore disponibilità di mezzi di pagamento viene collegata ad un ingente programma di spesa pubblica per grandi opere, come diremmo oggi: si tratta, prima di tutto, di ricostruire Roma, dopo il famoso incendio. Dalla spesa pubblica si innescano quelli che oggi indichiamo come effetti moltiplicativi sul reddito e l’occupazione, principalmente nei settori delle cave, dei trasporti, dei laterizi, delle costruzioni; i quali, all’epoca, erano anche quelli a più alto contenuto tecnologico.
Alla fine, l’inflazione si contenne intorno al 2% annuo, senza peraltro toccare i beni primari come il grano; gli effetti di questa manovra in termini di redistribuzione del reddito e di sviluppo economico saranno invece duraturi e andranno ben oltre la morte dell’imperatore. Il Senato, per parte sua, infamò Nerone, alla sua morte, con la damnatio memoriae ad saeecula saeculorum che, in larga parte, sembra durare fino ai giorni nostri; ma questa, è ancora un’altra storia.
tratto da http://www.noidonne.org/
Al suo insediamento, nel 54 d.C., Nerone, ultimo imperatore di quella stirpe, trovò la riforma dell’amministrazione già impostata da Claudio, con l’affidamento dei ruoli dirigenziali a manager tecnici, i liberti, spesso provenienti da quella cultura ellenistica che, con il suo eclettismo, rappresentava al meglio il dinamismo, anche economico, di molte parti dell’Impero. Il giovane imperatore perfezionò la riforma, con molta attenzione al settore della giustizia, cercando di coinvolgere il Senato nella sua azione, e comunque di compiacerlo ogni volta che era possibile; la sua inclinazione naturale, tuttavia, e forse anche il calcolo politico, lo portava al rapporto diretto con la plebe che, per parte sua, gli manifestò affetto fino oltre la morte.
Nel 58, Nerone tentò la prima vera riforma radicale sul versante economico, in senso anti-protezionistico, con la proposta di abolizione delle imposte indirette: si trattava di una manovra complessa, equivalente ad un quindicesimo del bilancio pubblico. L’intento era quello di liberalizzare i commerci all’interno dell’impero, attraverso la diminuzione dei prezzi e il conseguente aumento del grado di concorrenza, con vantaggio per i ceti meno abbienti e a reddito fisso. Ma i senatori videro in pericolo le loro rendite, derivanti dalle condizioni di quasi-monopolio a cui vendevano in Italia le produzioni dei loro latifondi, e si opposero. Nerone fu costretto a ripiegare su misure parziali e di entità molto minore; ma, in questa sconfitta politica, si consumò definitivamente la sua rottura con il Senato. Da questo momento, Nerone comincia a orientarsi verso una monarchia assoluta di tipo ellenistico: un impero così vasto aveva bisogno di un centro decisionale unico, in grado di relazionarsi con le culture e le esigenze delle province, non più riconducibili alle categorie ristrette della romanità delle origini repubblicane.
È nel 66 che Nerone riesce a mettere in atto una manovra, ancora più articolata, a sostegno della domanda e del reddito, combinando tanto efficacemente politica monetaria e fiscale, da farlo indicare da alcuni studiosi dei giorni nostri come una sorta di keynesiano ante litteram (M. A. Levi, M. Thornton, R. Thornton). Per prima cosa, l’imperatore annuncia e attua una svalutazione monetaria, diminuendo il titolo dell’oro e dell’argento nelle monete senza modificare il loro valore nominale, che si concretizza dunque in un aumento dell’offerta di moneta. La misura della svalutazione è studiata in modo che non risulti, tuttavia, conveniente la tesaurizzazione delle vecchie monete a fini di recupero del metallo prezioso; e anche in modo da migliorare il rapporto di cambio tra oro e argento a favore di quest’ultimo, che era il metallo a cui avevano accesso le classi di reddito più basso. Le spinte inflazionistiche, che potevano derivare da tale operazione, sono contenute dal fatto che la maggiore disponibilità di mezzi di pagamento viene collegata ad un ingente programma di spesa pubblica per grandi opere, come diremmo oggi: si tratta, prima di tutto, di ricostruire Roma, dopo il famoso incendio. Dalla spesa pubblica si innescano quelli che oggi indichiamo come effetti moltiplicativi sul reddito e l’occupazione, principalmente nei settori delle cave, dei trasporti, dei laterizi, delle costruzioni; i quali, all’epoca, erano anche quelli a più alto contenuto tecnologico.
Alla fine, l’inflazione si contenne intorno al 2% annuo, senza peraltro toccare i beni primari come il grano; gli effetti di questa manovra in termini di redistribuzione del reddito e di sviluppo economico saranno invece duraturi e andranno ben oltre la morte dell’imperatore. Il Senato, per parte sua, infamò Nerone, alla sua morte, con la damnatio memoriae ad saeecula saeculorum che, in larga parte, sembra durare fino ai giorni nostri; ma questa, è ancora un’altra storia.
tratto da http://www.noidonne.org/
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