20 novembre 2010

Mafia nel Lazio. Terra di investimenti e di collusione


ROMA - La reazione scomposta della Lega alle affermazioni di Saviano sulla penetrazione delle mafia in Lombardia segnala nuovamente che le regioni ad occupazione mafiosa non sono più solo quelle di origine. La Lombardia apre l’elenco, ma il Lazio non sta meglio.


Secondo le relazioni della Direzione Distrettuale Antimafia di Roma, nel Lazio sono stabilmente insediate una settantina di cosche, in questa regione si commette il 15% dei reati per usura a livello nazionale e il 7% dei reati per estorsione, collocandola al 2° e al 4° tra le regioni italiane. Sempre il Lazio, è al secondo posto per i reati contro l’ambiente, come testimonia il rapporto sulle ecomafie di Legambiente, mentre la troviamo al 4° posto per quantità di aziende sequestrate alla criminalità.
Una proiezione sulle stime del rapporto 2010 di SOSImpresa sul giro di affari di Mafia Spa fa ipotizzare un fatturato, nel Lazio, tra i 12 e i 15 miliardi annui, con un utile netto di oltre 7 miliardi di euro.
Numeri che parlano chiaro. Ma che non dicono tutto.


“Il territorio di Fondi si delinea come luogo strategico per l’integrazione tra diverse organizzazioni di tipo mafioso. Integrazione che evidentemente presuppone una tessitura di alleanze ed accordi che contemperino e lascino spazio al dispiegarsi di vari e distinti interessi.” L’ex Prefetto di Latina, Frattasi, scriveva così nella relazione con cui chiese nel 2008 lo scioglimento del comune di Fondi. Un provvedimento che non arrivò mai, bloccato dal Governo Berlusconi. Nel basso Lazio, confinante con la provincia di Caserta, la camorra è di casa da sempre, cosa nostra e le ‘ndrine calabresi si sono stabilmente insediate da tempo accedendo, tra l’altro, al controllo del Mercato Ortofrutticolo più grande di Europa. In questa zona è accertato, per ammissione dell’interessato, l’ex assessore ai lavori pubblici di Fondi, che la ‘ndrangheta è intervenuta ad orientare le elezioni, come è probabilmente avvenuta anche nelle recenti regionali. Ma questo può solo essere ipotizzato, sulla scorta dell’enorme numero di preferenze raccolte da alcuni candidati del centro destra. E se Fondi è la più nota, molti comuni delle province di Latina e Frosinone sono spesso ascesi agli onori delle cronache giudiziarie.


Ma una mole impressionante di dati testimonia che la stessa “integrazione tra diverse organizzazioni” e la stessa “tessitura di alleanze ed accordi” costituisce il modello con cui le organizzazioni criminali di provenienza esterna - il cui insediamento comincia con l’arrivo di confinati e latitanti, ma anche con il trasferimento volontario di intere famiglie - si sono integrate alla criminalità locale, dalla banda della Magliana ai Casamonica per fare dei nomi, ed alla imprenditoria locale, in un coacervo di relazioni e con un modus operandi specifico.


E’ quella che Libera ha definito la “Quinta mafia”, cresciuta in tutta la regione nella sottovalutazione, nel silenzio o, peggio, nella tolleranza delle istituzioni e della politica.
Il Comitato tecnico scientifico per la sicurezza della Regione parla di “una sorta di organismo che svolge non solo il ruolo di camera di composizione dei conflitti, ma di vero e proprio regolatore degli interessi, degli affari e delle presenze, garantendo l’immutabilità della condizione di Roma città aperta a tutte le mafie”. Ed è quindi all’integrazione con l’economia legale, negli appalti e nei grandi interventi edilizi, che , complice anche la crisi finanziaria di molte imprese, è giunta ormai la lunga marcia della criminalità, iniziata con l’usura, finalizzata alla acquisizione delle imprese, continuata con la droga e le armi, passata al riciclaggio e all’imprenditorialità.
Il Lazio è quindi terra di investimenti e di collusione. Non vi è settore economico in cui non sia documentata la presenza di capitali mafiosi. Dal turismo, alla ristorazione, dai centri commerciali, alle grandi opere, dai rifiuti, alla sanità. Complice una gestione degli appalti pubblici denunciata più volte dalla Fillea-CGIL.


A Civitavecchia, ad esempio, è inquietante la diffusa presenza di personaggi riconducibili a mafia, camorra e ‘ndrangheta, documentata dalla associazione Caponnetto, in imprese interessate, accanto ad imprese legali, ai numerosi grandi progetti territoriali, promossi o assentiti dal comune. Nella capitale la presenza di imprese riconducibili alle mafie è testimoniata dalle inchieste sulla metro C, a Rieti nei lavori di una superstrada.
Ma mentre la magistratura e la società civile laziale denunciano da tempo questo stato di cose, ciò che manca del tutto sono le istituzioni e la politica. Solo qualche giorno fa in consiglio regionale Francesco Storace ha nuovamente negato, persino, che a Fondi ci sia la mafia.


Di questo si discuterà il prossimo 4 dicembre nel convegno sulla mafia nel Lazio promosso dalla Federazione della Sinistra. Comitati, associazioni, sindacati e politici si confronteranno sulle proposte per aggiornare in senso antimafia la legislazione regionale, con la convinzione che non sia più possibile attardarsi sulle denunce e sugli allarmi,ma occorre passare all’azione.

di Fabio Alberti

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