''Siamo a un passo dal far luce su via d'Amelio"
PALERMO - La verità sulla strage di via D'Amelio è vicina. Anzi, è a un passo. A 18 anni dall'assassinio del giudice Paolo Borsellino e degli agenti della sua scorta, i magistrati di Caltanissetta non hanno dubbi. Nonostante i depistaggi, le "amnesie" istituzionali, le false prove e i falsi pentiti, le indagini sono prossime a una svolta. Terribile e clamorosa. "Il fatto - si chiede l'aggiunto Nico Gozzo, ascoltato a lungo, ieri, dalla commissione nazionale Antimafia assieme al procuratore Sergio Lari - è se c'é una politica in grado di raccogliere questa verità". Credono nelle capacità dello Stato, invece, i pm. E in quelle della magistratura, costretta a riscrivere una storia processuale che il suggello della Cassazione aveva reso definitiva. Delle "clamorose sviste investigative", costate undici ergastoli a imputati probabilmente innocenti, è tornato a parlare Lari, che si appresta a inviare alla Procura generale il materiale per chiedere la revisione del processo agli esecutori materiali della strage. Un processo mandato in frantumi dalle dichiarazioni di Gaspare Spatuzza che ha smontato la vacillante ricostruzione di Vincenzo Scarantino, pentito dalle alterne vicende che, secondo gli inquirenti, potrebbe essere uno dei tasselli del clamoroso depistaggio.E al capitolo Spatuzza, a cui la speciale commissione del Viminale, il mese scorso, ha negato la concessione del programma di protezione, è molto interessata l'Antimafia che ha chiesto alle procure di Palermo e Caltanissetta tutta la documentazione in loro possesso sul collaboratore di giustizia. Sull'ex boss di Brancaccio, che sta facendo dichiarazioni anche su altri capitolo oscuri della stagione stragista di Cosa nostra, a partire dal fallito attentato dell'Addaura, la commissione Antimafia ha interpellato anche i magistrati di Palermo sentiti, prima dei colleghi nisseni, per oltre sette ore. L'audizione dei magistrati di Caltanissetta è stata secretata. E top secret è anche quello che il procuratore di Palermo Francesco Messineo e gli aggiunti Antonio Ingroia e Ignazio De Francisci hanno raccontato sulla trattativa tra lo Stato e la mafia. Un argomento che attraversa le inchieste palermitane e quelle nissene, se è vero, come sostengono gli inquirenti, che Paolo Borsellino venne eliminato perché aveva scoperto e detto no al patto tra le istituzioni e Cosa nostra. Una tesi che conferma quello che i magistrati ormai ritengono un dato certo: che dietro l'eccidio di via D'Amelio non ci furono solo le cosche. Lo ha ripetuto, ieri, Lari tornando a ribadire le responsabilità dei soggetti istituzionali "infedeli", che hanno tradito. Un argomento a cui ha fatto cenno anche Messineo secondo il quale la "verità sulle stragi passa dagli apparati dello Stato". Anche se il presidente dell'Antimafia, Giuseppe Pisanu, dopo aver ribadito che "non si può riferire alcunché dello svolgimento dei lavori della Commissione in seduta segreta", ha negato "decisamente" il contenuto delle dichiarazioni rilasciate poco prima dai magistrati ai giornalisti. Scenari "terribili" quelli emersi dalle inchieste di Caltanissetta, quanto inquietanti sono quelli che i pm di Palermo hanno dipinto sullo stato di Cosa nostra, indebolita dagli arresti, ma ancora in grado di controllare il territorio attraverso l'imposizione del pizzo, condizionare gli appalti pubblici e disporre di arsenali. Una mafia che ha rinunciato all'attacco diretto allo Stato, perché impegnata soprattutto nel fare affari e reinvestire i capitali.
note di ag.
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