Il 26 febbraio si è tenuto a Roma il convegno "La strategia della Lumaca. Per una società della misura: idee e pratiche di un altro sapere ed un altro saper fare", organizzato dall'Assessorato alle Politiche culturali della Provincia di Roma. Ospite di rilievo è stato il grande economista francese Serge Latouche, teorico di riferimento del Movimento internazionale della decrescita.
Nel corso del convegno si è cercato di spiegare come la crisi economica globale può trasformarsi in una grande opportunità: liberare l'umanità dal mito della crescita illimitata.
Questo è l'obiettivo che si propone di raggiungere il progetto della decrescita o acrescita, che non vuol dire crescita negativa.
Quando, nel XVIII secolo, si è fatta strada in Europa l'economia capitalistica, la scienza che la supportava, l'economia politica, prometteva alle generazioni di allora e alla umanità intera la pubblica felicità. Ai suoi esordi era questo il fine dichiarato del pensiero economico: realizzare attraverso lo sviluppo materiale ed il progresso tecnico una crescita continua della ricchezza, la liberazione dalla povertà e la diffusione del benessere, l'umana emancipazione dai bisogni elementari, l'elevazione culturale di tutte le classi sociali. Si trattava dunque, di un grande progetto di civiltà. Un progetto che, per lo meno in Occidente, a prezzo di asprissime lotte sociali e fra infinite ingiustizie, si è in parte realizzato.
Questo è stata la società industriale come l'abbiamo conosciuta.
Oggi è proprio questo iniziale progetto che si è storicamente esaurito. La crescita continua dell'economia non è più finalizzata alla pubblica felicità, ma è una macchina che deve avanzare per mantenere gli equilibri dei poteri dominanti, che sostituisce con la replica di ciò che è stato (la crescita economica) la mancanza di un progetto di società.
Nel frattempo siamo diventati "tossicodipendenti dei consumi" e siamo caduti nella "trappola della torta", ovvero del Prodotto interno lordo. Nei trent'anni successivi al secondo dopoguerra, i capitalisti ne hanno approfittato per prendersi la fetta più grossa di questa torta, ma non si sono curati del fatto che a poco a poco essa diventava sempre più avvelenata, dall'inquinamento, dalle malattie, dalla distruzione dell'ecosistema, dalle ingiustizie sociali.
Dopo gli anni Settanta le statistiche hanno mostrato che il Pil ha continuato a crescere, ma il benessere vissuto no. Guadagniamo di più ma siamo condannati a spendere di più per riparare i danni della crescita. Ora siamo arrivati al punto nel quale occorre cambiare la ricetta della torta. E questo è ciò che si prefigge il progetto della decrescita.
Questo progetto consta di alcuni obiettivi interdipendenti: rivedere i valori in cui crediamo e in base ai quali organizziamo la nostra vita, ad esempio l'altruismo dovrà prevalere sull'egoismo, la cooperazione sulla concorrenza, il piacere del tempo libero sull'ossessione del lavoro, il locale sul globale; adattare in funzione del cambiamento dei valori le strutture economico-produttive, i modelli di consumo, i rapporti sociali, gli stili di vita; consumare essenzialmente prodotti locali per ridurre al minimo i movimenti delle merci, evitando così i costi legati ai trasporti (infrastrutture, ma anche inquinamento, effetto serra e cambiamento climatico); garantire a tutti gli abitanti del pianeta l'accesso alle risorse naturali e ad un'equa distribuzione della ricchezza; ridurre sia l'impatto sulla biosfera dei nostri modi di produrre e consumare che gli orari di lavoro; riparare i beni d'uso anziché gettarli in discarica; recuperare tutti gli scarti non decomponibili derivanti dalle nostre attività.
Tutti insieme questi obiettivi possono portare, nel tempo, ad una decrescita serena, conviviale e pacifica. E' una grande scommessa, ma i sostenitori della decrescita sono sicuri che sarà vinta.
Mario Borgo Caratti
Sinistra Democratica Pomezia