CRONACHE DALL'INFERNO
TENSIONE E PAURA NEL VIAGGIO VERSO LA CAPITALE
Marcello Campo
il diario del 15 gennaio
JAMANI-MALPASSE (frontiera Repubblica Dominicana-Haiti) - "Sinora tutto bene, sono passati solo tantissimi feriti con ogni mezzo, ma è tutto tranquillo... almeno per ora". Al varco di frontiera più importante tra Repubblica Dominicana e Haiti, a un'ora di strada dall'inferno di Port au Prince, l'ufficiale dell'esercito dominicano si sforza di dimostrarsi tranquillo.
Ma sotto l'apparenza, cresce il timore che una grande massa di disperati haitiani possa forzare la mano pur di passare il confine. Ieri le autorità dominicane avevano lanciato l'allarme alle proprie forze armate, poi rientrato, circa i rischi di un'ondata di profughi alle frontiere, forse armati. Tuttavia permangono segnali di tensione: a una quarantina di chilometri dal confine con Haiti, un paio di guardie private armate di fucile difendono un piccolo ristorante: "Da quando c'é stata la tragedia a Port-au-Prince - racconta uno di loro preoccupato - ogni sera dobbiamo difenderci da sbandati che cercano di rubare". Avvicinandosi a Jimani, aumenta il traffico dei convogli degli aiuti verso la capitale.
Camion, mezzi pesanti, scavatrici stanno arrivando in città per cercare di salvare chi è ancora sotto le macerie. Poi bisogna pensare ai sopravissuti. Con la prima distribuzione di cibo e acqua si cerca di calmare una situazione che ora dopo ora a Port-au-Prince si fa sempre più insostenibile. Si susseguono le notizie di saccheggi e sparatorie notturne. Sulla strada incrociamo la scorta del presidente dominicano, Leonel Fernandez. Poche ore prima si era incontrato con il suo collega haitiano Renee Preval per cercare di aiutarlo a coordinare i primi aiuti internazionali.
ENTRANO AIUTI SCORTATI DA MILITARI DOMINICANI - I primi a passare oggi all'alba la frontiera tra Repubblica Dominicana e Haiti sono i soldati di Rafael Delapena, il capo delle forze armate dominicane, che sta coordinando assieme ai suoi colleghi haitiani i primi aiuti via terra diretti a Port-ou-Prince. Con il convoglio di aiuti ci sono numerose auto affittate dai giornalisti, tra questi l'inviato dell'Ansa, e una lunga colonna di volontari di tutto il mondo. Oltre a medicine, macchinari sanitari, nei loro convogli portano acqua e benzina, i due beni di prima necessità che scarseggiano nella capitale che dista dalla frontiera circa 28 chilometri di strada tutta dissestata e a curve continue.
POLIZIA A FRONTIERA: ENTRATE NELL'INFERNO, BUONA FORTUNA - Al passaggio della frontiera tra Repubblica Dominicana e Haiti gli ufficiali di polizia doganale dominicana, dopo aver chiesto ai giornalisti che vogliono entrare nome, cognome, numero di passaporto e testata di appartenenza, danno il seguente avvertimento: "Devo avvisarvi che di là dalla frontiera vi attende l'inferno. E' quello che vedrete. Molte carceri sono crollate e ci sono molti criminali in giro per Haiti. State molto attenti anche all'igiene. Portate molta acqua con voi, perché di là è quasi esaurita. Anche guanti e mascherine perché c'é il pericolo di infezioni. Buona fortuna!".
PROTESTA SOPRAVVISSUTI, ABBANDONATI DA OBAMA E CHAVEZ - A fianco del palazzo presidenziale, immagine simbolo del crollo e della tragedia di un intero Paese, nel certo di Port-au-Prince, quattro lunghe file di sopravvissuti stanno ordinatamente aspettando di ricevere gli aiuti che continuano ad arrivare dalla vicina repubblica Dominicana. Tuttavia la rabbia è tanta e cresce sempre di più l'esasperazione. Basta che un cronista accenni qualche domanda che tutti questi disperati, in maniera concitata ma assolutamente pacifica, esprimono la loro indignazione. E c'é chi, con un fluente inglese attacca frontalmente l'uomo più potente della terra, di colore come la stragrande maggioranza degli haitiani: "sono molto arrabbiato con Obama, siamo la prima nazione nera che ha abolito la schiavitù e adesso abbiamo bisogno del primo presidente nero degli Stati Uniti. Ma ne abbiamo bisogno subito, ora, non tra 5, 6 o 10 giorni". Uno dopo l'altro tutti esprimono lo stesso concetto. Un ragazzo laureato in ingegneria si lascia andare allo sfogo: "ci hanno abbandonato tutti, gli Stati Uniti, la comunità internazionale e anche il nostro governo. Come me ci sono ancora 20.000 persone almeno che stanno dormendo per strada e non hanno ancora ricevuto nulla, né cibo, né acqua, né una tenda. Anche Chavez che ha sempre detto di essere un nostro amico non sta facendo nulla per noi".
note di ag.
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