11 gennaio 2012

In Italia un giovane su quattro ha un contratto atipico

Nel nostro paese oltre il 12% degli occupati ha un contratto non standard, percentuale che raddoppia tra i giovani. Se consideriamo la fascia tra i 18 e i 29 anni, il 25% rientra nell'atipico e solo la metà ha un tempo indeterminato. Come sempre, donne, laureati e residenti al Sud sono più coinvolti nel lavoro atipico. È quanto emerge dall'indagine Isfol Plus, una rilevazione sull'offerta di lavoro che coinvolge annualmente circa 40mila individui tra i 18 e i 64 anni e che fa parte del sistema statistico nazionale. Secondo il dossier, nel complesso il 65,5% degli occupati italiani ha un contratto di lavoro dipendente a tempo indeterminato, mentre il 18,2% ha un'attività autonoma. La quota di apprendisti si ferma all'1,4%.

PRECARI IN TRAPPOLA . Nel periodo 2008-2010, scrive l'Isfol, il 37% degli atipici è passato a un'occupazione standard, ma il 43,1% è rimasto nella condizione originaria e circa il 20% è finito nell'area dei senza lavoro. Tra chi era in cerca di un'occupazione, poi, la percentuale di lavoro standard è intorno al 16%, analoga a quella di chi ha invece ottenuto un lavoro atipico, sei su dieci sono rimasto nella stessa condizione e poco meno del 10% è confluito nell'inattività. Confrontando questi dati con il precedente biennio 2006-2008 emerge come il tasso di trasformazione da un'occupazione non standard al lavoro tipico sia sceso di 9 punti (dal 46% al 37%). Va comunque sottolineato, aggiungono i ricercatori, "che i lavoratori atipici mostrano performance migliori rispetto a coloro che sono in cerca di lavoro: relativamente a questi ultimi le percentuali di passaggio ad un'occupazione standard sono, infatti, il 21% nel 2006-2008 e il 16% nel 2008-2010".

MERCATO DEL LAVORO MENO PERMEABILE . Spiega Aviana Bulgarelli, direttore generale dell'Isfol: "Possiamo parlare di un mercato del lavoro meno permeabile, in cui l'ingresso prima e la stabilizzazione delle posizioni lavorative poi avvengono con più difficoltà. Il lavoro non standard aumenta le probabilità di transitare verso un impiego stabile". Tuttavia, la velocità di trasformazione di conversione dei contratti flessibili in occupazioni stabili si è ridotta e gli esiti negativi sono aumentati, segnale che la crisi l'hanno pagata in particolare gli atipici e coloro che nel mondo del lavoro ancora non erano entrati a fine 2008". Se nel 2010 gli effetti della crisi sulla componente standard erano ancora limitati, sul versante dei non standard si è avuta una riduzione della loro incidenza rispetto al 2008, che sottende la fuoriuscita dal mondo del lavoro di quasi mezzo milioni di lavoratori atipici.

CGIL: PUNTARE SULL'APPRENDISTATO. "Il lavoro atipico o temporaneo riguarda il 25% dei giovani fra i 18 e 29 anni, il doppio della media generale. Come i dati Isfol dimostrano una percentuale alta riguarda anche i laureati: Si tratta dell'ennesima dimostrazione delle caratteristiche di sistema della precarietà”. Lo sostiene Fulvio Fammoni, segretario confederale della Cgil. "Le donne e le persone che risiedono nel Mezzogiorno, cioè le situazioni già più svantaggiate dell'occupazione sono al vertice anche di questa negativa classifica – spiega ancora Fammoni - è un dato che, senza interventi strutturali, è destinato ad aumentare perché la percentuale di trasformazione in lavoro standard è in drastico calo mentre aumenta il numero di chi finisce nell'area della disoccupazione”."La quota di apprendistati è ancora troppo bassa – aggiunge il dirigente Cgil - perché le nuove norme concordate non sono ancora entrate a regime, ma soprattutto perché le tante forme di lavoro atipico cannibalizzano il contratto formativo di ingresso al lavoro. L'indagine Isfol conferma chiaramente cosa occorre per fare uscire una intera generazione dalla precarietà. Tagliare le forme di lavoro precario e rendere più costosa la precarietà, puntare sull'apprendistato, dare tutele a tutti i giovani precari che ne sono privi, usare la leva degli incentivi per trasformare questo stock di precarietà in lavoro stabile. Questa è la riforma del lavoro di cui le persone e il paese hanno bisogno".



UN COMMENTO

Sono d´accordo particolarmente sul fatto di aumentare la quota per l´apprendistato, che sicuramente è una situazione preferibile alle forme precarie in uso al momento (davvero vergognose, e qua ci vorrebbe un intervento forte dal punto di vista legislativo) e allo stesso tempo preparerebbe meglio al mercato del lavoro. E´chiaro che oggi come oggi un titolo di studio, una laurea, non garantiscono una preparazione adeguata, in un mercato sempre più attento all´esperienza e all´applicazione pratica delle conoscenze rispetto al possesso di titoli cartacei. Direi che si tratta di una tara del nostro sistema universitario in particolare, un retaggio dell´impostazione prettamente umanistica e non al passo con i tempi di molti corsi di studio: penso solo alla tanto famigerata Scienze della Comunicazione, che potrebbe essere un corso sulla carta in grado di fornire conoscenze spendibili in maniera ampia sul mercato dei servizi e che invece per colpa di una mala gestione a livello di programma e di un´impostazione che sacrifica completamente la pratica alla teoria si è trasformato in una barzelletta, andando ad alimentare le file dei precari e degli schiavi da call center.

1 commento:

Limone ha detto...

Sono d´accordo particolarmente sul fatto di aumentare la quota per l´apprendistato, che sicuramente è una situazione preferibile alle forme precarie in uso al momento (davvero vergognose, e qua ci vorrebbe un intervento forte dal punto di vista legislativo) e allo stesso tempo preparerebbe meglio al mercato del lavoro. E´chiaro che oggi come oggi un titolo di studio, una laurea, non garantiscono una preparazione adeguata, in un mercato sempre più attento all´esperienza e all´applicazione pratica delle conoscenze rispetto al possesso di titoli cartacei. Direi che si tratta di una tara del nostro sistema universitario in particolare, un retaggio dell´impostazione prettamente umanistica e non al passo con i tempi di molti corsi di studio: penso solo alla tanto famigerata Scienze della Comunicazione, che potrebbe essere un corso sulla carta in grado di fornire conoscenze spendibili in maniera ampia sul mercato dei servizi e che invece per colpa di una mala gestione a livello di programma e di un´impostazione che sacrifica completamente la pratica alla teoria si è trasformato in una barzelletta, andando ad alimentare le file dei precari e degli schiavi da call center.

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