01 febbraio 2011

Ricordo, dunque sono


‘Tanto più la nostra società è immobile, tanto più la nostra classe dirigente (soprattutto quella politica, ma non solo) appare ‘sregolata’, cioè priva di autoregolamentazione, in quanto non rispettosa della storia sua e nazionale’

Tiziana Bartolini
Alla parola ‘memoria’ si associa piuttosto spontaneamente l’immagine delle radici. Quelle ramificazioni sotterranee saldano l’albero al terreno e si prolungano in infiniti intrecci, invisibili ma indispensabili a mantenere in vita la pianta, e il nutrimento di quel circuito è vitale anche per l’ambiente circostante. Analogamente il ricordo è linfa a cui l’essere umano attinge, in cui trova ossigeno per la mente e l’anima. Senza il ricordo non esiste la consapevolezza di sé in una dimensione spazio-temporale. La memoria ci permette di accedere alla compiutezza del nostro essere, che è gioia e dolore, buio e luce, bene e male. È un ‘tutto’, immateriale eppure colmo di quotidiana concretezza. Ci sono oggetti e cibi, ma anche pensieri e odori, che si intrecciano nel privato come nella condivisione collettiva, e l’insieme concorre alla tessitura della storia unica che ciascuno, singolarmente, costituisce nell’ambito del fluire in una storia comune. La memoria è dunque qualcosa di complesso e animato, che agisce e interagisce. A partire dalla coscienza di un presente che discende da un ‘prima’ - intreccio di micro e macro azioni - e che ci sarà un ‘dopo’, a sua volta determinato da atti ed elaborazioni nella dimensione singola e plurale. In questo senso la memoria è assunzione di responsabilità nei confronti del passato e del futuro. L’agire nel rispetto del cammino che ciascuno percorre e traccia, implica un’autoregolamentazione. Infatti chi opera per modificare la realtà si assume una responsabilità di cui deve (dovrebbe) sentire il peso. Qualunque cambiamento trae forza dalla storia e dalla memoria del contesto in cui avviene. Sarà forse perchè continuiamo a negarci una memoria collettiva che in questo Paese non cambia mai niente? Troppo affaccendati a rileggere il Risorgimento e l’Unità d’Italia, a re-interpretare il fascismo e l’antifascismo, ad erodere la Costituzione, non riusciamo a fare le continuamente evocate riforme. Tanto più la nostra società è immobile, tanto più la nostra classe dirigente (soprattutto quella politica, ma non solo) appare ‘sregolata’, cioè priva di autoregolamentazione, in quanto non rispettosa della storia sua e nazionale. Un’operazione ben riuscita, invece, è quella di rendere via via più smemorato il popolo italiano con l’obiettivo, altrettanto conseguito, di costruire una società sempre più fragile. Offuscare la tua origine e il ricordo impedisce il riconoscerti in una storia collettiva, questo alimenta l’indifferenza, che a sua volta genera ostilità e così sempre più in basso verso il degrado umano e civile. Come donne abbiamo sperimentato per secoli gli effetti devastanti e umilianti dell’essere cancellate dalla storia. Abbiamo sperimentato la fatica di ricostruire le nostre memorie, singole e collettive, indispensabili per esistere ed essere riconosciute come persone che potevano esigere diritti. Sappiamo che è un lavoro non ancora completato, che sarà lungo e per niente facile. Capito il trucco, ora abbiamo filo per tessere la nostra tela. E soprattutto sappiamo dove attingere acqua per irrorare le nostre radici.

da noidonne.org 31 gennaio 2011

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